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Merry
Entino




Pepperland


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Inserito il - 11 aprile 2005 : 21:25:11  Mostra Profilo Invia a Merry un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Vedo che è stata inserita un'esperienza di teatro, e dopo tanto discutere, una risposta diretta ed interessante.

Silma, ho visto che hai assegnato la fatica maggiore all'attore di teatro con scenografia spoglia, poiché assieme a sé stesso deve convincere gli spettatori in un "missaggio" immaginativo continuo. A questa fatica ne hai aggiunto un'altra, più propria del teatro d'avanguardia contemporaneo: tu, con il tuo nastro, hai dovuto rappresentare il mare. Mi ricorda alcune soluzioni di Samuel Beckett...

Ho una domanda: immagina di avere a disposizione le tecniche digitali per darti uno spettacolare sfondo marino a lavoro finito. Con queste condizioni, la tua scena rimane comunque vuota, solo pareti blu o verdi. Reciteresti sempre correndo con il nastro,
ma non avresti gli occhi del pubblico a confermarti la riuscita della recita... solo un paio di registi, immagino. Questo potrebbe essere un peso? L'attore dovrebbe sentirsi impegnato a dare il massimo, perché sa che, se la sua recitazione non è abbastanza credibile, "striderà" con la scenografia computerizzata a cui verrà aggiunto. Che ne pensi?

H is for "hurry"
E is for "ergent"
L is for "love me" and
P is for "p - p - please, heelp!!"

Mitakuye oyasin!
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Silma
Ent




Abruzzo


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Inserito il - 11 aprile 2005 : 21:39:30  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Penso che mi sentirei più stressata. Vedi, essendo un fool, io dovevo guardare negli occhi almeno una persona, dovevo tendermi verso il pubblico, uscire dal palco per approdare (fisicamente e non) in platea. Ora, una cosa è farlo con un centinaio di persone davanti, un'altra guardando una telecamera. Questa, infatti, non può reagire in nessuna maniera. Ti dirò, ho anche riprovato a rifare alcune mie scene con un'amica che mi riprendeva, ma la sensazione non era la stessa, a livello d'imedesimazione intendo: per Fool non era normale parlare ad una telecamera e questo mi metteva a disagio, mi disturbava la concentrazione. Come se il personaggio si facesse da parte per lasciare il posto all'attore.
Altre scene venivano bene, perchè in fondo potevo comunque riscreare il mio piccolo mondo, ma l'impatto visivo diretto con la telecamera mi distruggeva, mi prendeva una stizza immotivata.
In una recitazione "normale", ovvero essendo un personaggio interamente interno alla vicenda narrata, penso che questo fastidio non ci sarebbe, o sarebbe limitato all'inizio, sino a che non ci si sia talmente immedesimati da non fare più caso a quell'occhi di vetro che ti segue ovunque. Il problema sorge quando da quel mondo, che è il tuo (o del tuo personaggio, se preferisci), che sia creato con la fantasia o con scenografie all'avanguardia o con il digitale non ha importanza, devi uscire completamente, per dialogare direttamente con lo spettatore. Trovarti di fronte, quale interlocutore, una telecamera, è frustrante. Certo, avendo fantasia puoi superare la telecamera e fissarne l'obiettivo come fosse lo sguardo di una persona in carne ed ossa, ma questo richiede, i primi tempi, uno sforzo immaginativo che esula dal personaggio e dunque rende più incerta l'interpretazione.
Non è piacevole. Ovvio che un attore cinematografico è abituato a farlo. Per me che film non ne ho mai fatti, il tentativo è stato molto faticoso: era troppo strano che guardassi un obiettivo, non aveva nulla a che vedere con il mio mondo.

umilmente vostra
Silma

<<la vide fra le sue braccia splendere e brillare,
fanciulla elfica ed immortale>>
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Merry
Entino




Pepperland


1762 Messaggi

Inserito il - 13 aprile 2005 : 17:50:53  Mostra Profilo Invia a Merry un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Citazione:
Silma
Per Fool non era normale parlare ad una telecamera


Ci metto sempre un po' a rispondere, perché vengono fuori argomenti abbastanza interessanti, che meritano un po' di riflessione.
Finora abbiamo parlato di prestiti e condivisioni, tra teatro e cinema, arrivando perfino al videogame. C'è qui il lato interessante di una figura di attore, Fool, che vive nel palcoscenico e non può traslocare altrove, se non a prezzo di legacci che non sopporta. Indubbiamente lo schermo televisivo o il telone del cinema in questo caso diventano barriere.

Scostando un attimo la figura del personaggio dall'attore, mi è venuto in mente che dei passi in avanti "oltre lo schermo" sono stati fatti, curiosamente, dal videogame. Il videogame ha sempre avuto e continua ad avere, infatti, una fruizione attiva di ciò che compare sullo schermo. A parte i doppiatori e gli autori necessari, c'è chi ha presentato negli ultimi anni videogame metareferenziali, in cui il protagonista parla di sé ma nel contempo del giocatore che lo controlla, in cui è sé stesso ma non del tutto. Mi riferisco alla serie Metal Gear Solid, che come non mai, in un complesso gioco di scatole cinesi, ha presentato il videogioco come testo complesso, dove le vibrazioni del pad non si limitano al "prendo - la - botta - vibra - il - controller", ma diventano elemento narrativo. Dove il giocatore fuori dallo schermo deve agire con la realtà e la fisicità di ciò che sta attorno a sé e muoversi in quel suo spazio, non solo "dentro" lo schermo ma anche fuori... e non scherzo... dove i dialoghi parlano proprio a lui, in una sorta di fusione diciamo "extradimensionale" col protagonista.

Forse sto divagando, ma ha qualcosa in comune con quegli spettacoli di strada in cui gli attori a volte si rivolgono direttamente al pubblico, gettando un ponte tra il mondo narrato con la recitazione e quello reale.

H is for "hurry"
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Mitakuye oyasin!

Modificato da - Merry in data 13 aprile 2005 17:52:57
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Silma
Ent




Abruzzo


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Inserito il - 17 aprile 2005 : 15:47:06  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Hai parlato degli spettacoli di strada. Ecco un teatro a sè, forse il più difficile da fare e da apprezzare, perchè esce da quel tempio che è il palcoscenico e fa irruzione nel Mondo Reale, con cui deve quindi confrontarsi direttamente, non può ignorarlo. Ci vuole una capacità d'immedesimazione enorme in un simile contesto, per non perdere di vista il proprio; inoltre, elasticità nel mantenere il contatto con il pubblico e capacità d'improvvisazione, perchè gli accidenti che possono capitare in una piazza o su una via sono a dir poco illimitati.
Mi fa pensare un poco al Bert di "Mary Poppins", ve lo ricordate? Artista di strada e durante il film stesso (proprio all'inizio, se vi rammentate) si rivolge al pubblico oltre la telecamera. Questo è un caso di comunicazione teatrale efficace davanti ad un'obiettivo. Il genre, in effetti, vi si presta assai più di altri.

umilmente vostra
Silma

<<la vide fra le sue braccia splendere e brillare,
fanciulla elfica ed immortale>>
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AmonSûl
Sveltamente




Nowhere Land


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Inserito il - 18 aprile 2005 : 01:42:37  Mostra Profilo  Invia a AmonSûl un messaggio ICQ  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di AmonSûl Invia a AmonSûl un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
è più difficile recitare in una scenografia spoglia o davanti ad un blue screen?
che poi è verde...
ho già risposto più volte anche nel topic, ma non c'è in realtà risposta... sono entrambe arti difficili...

vi leggo molto volentieri perchè dite cose interessanti... ma non so bene se ho da aggiungere qualcosa... mi è sempre piaciuto immaginarmi recitare e pensare a come sarebbe, ma le volte che vedo un "dietro le quinte" di un film mi prende sempre un senso di disagio nel notare l'evidente finzione smascherata... quasi persone nude davanti al pubblico... non penso che saprei fare una cosa del genere...

nel cinema l'attore media il proprio rapporto col pubblico usando il regista come tramite... è lui l'unico occhio che ti osserva quando sei davanti a quello schermo verde... ed è suo il giudizio e sua la reazione cercata da Silma... è un pubblico estremamente qualificato e soggettivo... non so se più difficile, sicuramente più stressante, imho...
Il teatro, seppure d'avanguardia, mi sembra più qualcosa di diretto... il pubblico è un organismo solo che pulsa e tu percepisci e sai interpretare le vibrazioni nell'aria... Certo, prima hai dovuto essere schiavizzato dal regista, ma dal vivo ci sei solo tu-storia e il pubblico-immaginazione... la scintilla dell'alchimia scocca quasi per contatto...

i grandi del teatro non hanno solo una capacità di immedesimazione notevole... ma sposando la "sospensione d'incredulità" fanno credere di essere veramente convinti di ciò che dicono, di approvarlo, di averlo inventato loro... è una cosa incredibile... In una delle puntate trasmesse sul teatro ho visto Albertazzi recitare la nota poesia di Lorenzo il Magnifico... molto bella e ben recitata, quasi vissuta, con il giusto tono... l'attore quasi immedesimato in Lorenzo mentre ci convince di credere in ciò che dice... solo che mancava quel pizzico di "trasmissione" che è il secondo pilastro dopo l'immedesimazione... Per contro Dario Fo, pur senza "dimostrare" col linguaggio di essere un poeta, raccontava ciò che la sua vista "interiore" vedeva in quel momento ed era incredibile ed incredibilmente poetico vedere e sognare ciò che lui narrava...

l'accenno alla "complicità col pubblico" presente anche nel cinema mi fa venire in mente il famoso sguardo nella telecamera usato spessissimo in passato, dai grandi attori del cinema muto e non... Charlie Chaplin che guarda lo spettatore prima di partire alla carica con un pugno o una bastonata al prepotente di turno... Ollio che sconsolato guarda lo spettatore per chiedere sostegno e conforto vista l'assurdità della situazione... Un chiamare in causa lo spettatore che ci coinvolge enormemente, come se anche noi potessimo modificare il film... io ci casco sempre in pieno ^^
Un'espediente che invece trovo abusato, per lo meno al cinema, è quello del narratore-voce o del personaggio del film che racconta una storia ad un altro personaggio, dando vita ad un lungo flash back... spesso questi espedienti risultano retorici e non è facile renderli veramente utili... specie per il senso di estraneità che inducono nello spettatore che invece vuole un'altra storia, un'altra atmosfera, epoca, luogo e contesto...

CollevEnt [:381]
_________
luce, luce lontana, che si accende e si spegne...
quale sarà la mano, che illumina le stelle...
mastica e sputa, prima che venga neve... [:115]
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Silma
Ent




Abruzzo


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Inserito il - 18 aprile 2005 : 18:39:25  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Citazione:
Messaggio inserito da AmonSûl

Per contro Dario Fo, pur senza "dimostrare" col linguaggio di essere un poeta, raccontava ciò che la sua vista "interiore" vedeva in quel momento ed era incredibile ed incredibilmente poetico vedere e sognare ciò che lui narrava...




[:)] La visione...uno degni espedienti più belli, che siano scritti, recitati o dipinti. La visione interiore di un qualcosa, di un qualcuno, è la forma di linguaggio a mio parere più vicina all'uomo. Proprio per questo, trovi pochi che lasappiano usare, perchè è un linguaggio tanto profondo che molti l'hanno seppellito sotto anni di mondaneità ed apparenza. Per raccontare una visione, ci vuole il giusto tono di voce, il giusto sguardo, le giuste movenze, come per scriverla devi utilizzare parole appropiate, eteree, sapendo quanto descrivere e quanto accennare solamente, come per dipingerla devi scegliere i giusti colori, le sfumature, le pennellate.
La visione è un'arte che non s'impara: devi averlo nel sangue questo linguaggio, perchè non esiste una tecnica neppure basilare, nessuno potrà insegnartelo. Gli artisti normalmente si dividono in chi "fa" l'artista e chi "è" artista; nell'ambito dei secondi, solo pochi conoscono la visione, nell'ambito dei primi nessuno.

umilmente vostra
Silma

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Silma
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Inserito il - 08 settembre 2005 : 20:33:43  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Con le recenti esperienze teatrali, mi è venuto da ripensare a questo topic ed a quanto il teatro shakespeariano fosse più vero del cinema. Vero, dal punto di vista della maniera di creare gli effetti più cruenti e violenti: l'utilizzo di vero sangue animale, di vere spade (anche se smussate), scene di massa in cui spesso le si prendeva sul serio, perchè il trucco per fingere ematomi e simili non era stato ancora inventato.
Non che voglia riproporre questo costume ai giorni nostri [:))], però credo che talvolta in teatro possa essere utile sacrificare la delicatezza alla veridicità, anche in ragione del fatto che solo un quarto di quel che fai sul palco arriva in platea. A volte, penso sia anche più sicuro.
Esempio pratico: nell'impersonare a mundana, il mio compagno, che faceva il poliziotto, doveva reggermi e strascinarmi mentre io mi divincolavo, per poi gettarmi contro il tavolo al momento opportuno. Ebbene, all'inizio tutto andava a meraviglia, perchè io, presa dall'interpretazione, mi divincolavo seriamente, dunque lui doveva per forza tenermi davvero forte, o gli sarei sfuggita prima del tempo. Però, al momento di "la votta dinto co nu sbottolone" (la butta dentro con uno spintone, che poi in realtà sta per afferrare e gettare, non una semplice spinta data con le mani), ha avuto paura di farmi male ed ha solo accennato la spinta. Risultato: per un secondo mi sono distratta, dovendo passare da personaggio ad attrice, e nel fingere d'essere stata spinta ci ho messo troppo impeto, così che invece che fermarmi contro il piano del tavolo ho preso lo spigolo in pieno ventre. Se mi avesse spinta per davvero, istintivamente mi sarei frenata.
Inoltre, due personaggi che interagiscono, se uno malmena l'altro, l'altro avrà, nella scena seguente, un'istintiva tensione nel vedere il personaggio violento; tensione che abbisogna di sforzo e studio per essere simulata in maniera efficace, mentre risulta naturale se il colpo o lo schiaffo è stato almeno in parte vero.
Con questo non intendo che per essere realistici si debba sul serio fare a botte sul palco [:-p], ma una spinta reale non fa male perchè per istinto si cerca di frenarla od ammortizzarla se si cade, menre magari nel fingere non si pensa a farlo perchè si sa di non farsi male, e si finisce per ferirsi o risultare finti; e tutto sommato anche un colpo od uno schiaffo, se dato in maniera leggere ed enfatizzato dal gesto più ampio del necessario, lo credo preferibile alla finzione.

umilmente vostra
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Merry
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Pepperland


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Inserito il - 22 aprile 2006 : 14:36:44  Mostra Profilo Invia a Merry un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Dopo un bel po' di tempo torno a questo topic, perché avant'ieri ho finito un breve corso di recitazione, le tecniche di base in 10 lezioni per 20 ore totali.

Sono state fatte cose interessanti e folli. Alcuni esercizi erano presi di peso addirittura dallo yoga.

La mia personalissima risposta alla domanda che i ponevo all'inizio è... penso sia più facile lo schermo blu! Non c'è nessuno a parte i tuoi compagni di lavoro e si ha tutto il tempo di "crearsi" l'ambiente in modo sereno immaginandolo. Insomma, la performance si può perfezionare con calma.

Il pubblico è un altro paio di maniche, va trascinato nell'ambiente, va guardato, bisogna che "ci creda" in diretta, e basta una postura od un tono di voce sbagliato perché arrivi tutt'altro messaggio rispetto a quello che dovrebbe giungere.
Recitare non è facile insomma!

La pressione del pubblico è pazzesca. Righe intere di monologo mandate perfettamente a memoria che alla prima "prova del fuoco" svanivano costringendomi ad improvvisare... Per fortuna il testo a memoria è l'ultima cosa da fare, se il personaggio è stato costruito bene, la cosa funziona.
Io non avevo altro pubblico se non i miei compagni di corso! Ci dovrò lavorare... [:I]

Adesso cresce l'ammirazione nei confronti di Luthien, Silma e Mallorysnow!

*** *** ***

Per Silma: interessante questione, quella degli shiaffi e delle spinte. Se il tuo compagno di scena si frena troppo, il tuo "soffrire" bene può rendergli la spinta più credibile?
E soprattutto, se il gesto violento appare troppo mitigato, forse il poliziotto "non c'è"!
Con tutte le precuzioni del caso, ovviamente! [:))]

Ad Ottobre c'è il corso avanzato, ma ora non so se avrò tempo di fare anche quello.

--------------------------------
"Mi sono reso conto che le ossa dei nobili scricchiolano come quelle della plebe."
da "Maxmagnus"

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Silma
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Inserito il - 22 aprile 2006 : 17:44:51  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Bene bene, Merry che entra nel "cerchio magico" [:))]

Si, la prova con il pubblico in effetti è a volte distruttiva, molto spesso chi è alle prime armi usa un trucco semplicissimo: non guardarlo. Si guarda appena al di sopra delle teste, o verso una luce se si è sul palco; può servire a "dimeticarsi" virtualmente della presenza altrui, o almeno del fatto che gli altri hanno gli occhi puntati su di te.

Riguardo alla questione dei gesti violenti: no, non sempre il "soffrire bene" dell'altro rende la scena credibile. Può succedere se il gesto era nascosto, per esempio con colui che lo compie nell'ombra o parzialmente fuoriscena, ma non se risulta evidente: allora, la scena riesce falsa, apertamente costruita, perché la reazione risulta esagerata rispetto all'azione.
Nei film, si usa facilmente la tecnica del blocco: la mano arriva sino a qualche millimetro dalla persona da colpire, quella fa lo scatto e si sente il rumore della percossa; a teatro non sempre funziona, servirebbe grande coordinazione e, appunto, corrispondenza: se il gesto del colpire parte già loffio, una reazione esagerata stona, non viene giustificata dallo spettatore. E possono presentarsi inconvenienti tecnici come nel mio caso con il tavolo [:-p]

umilmente vostra
Silma

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Merry
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Pepperland


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Inserito il - 23 aprile 2006 : 17:16:34  Mostra Profilo Invia a Merry un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Avevamo da scegliere un monologo, quello che volevamo, su cui lavorare nella parte finale del corso. Io ho scelto nientemeno che il sermone di un reverendo, cosa che mi ha costretto a guardare chi stava oltre la "quarta parete" seppure da un'immaginario pulpito sopraelevato.

Quel trucco di "guardare oltre" non lo conoscevo, (ne faccio tesoro) ma temo che in questo caso avrei rischiato di dare l'impressione di cercare una via di fuga piuttosto che di convincere i "fedeli" [:I]

Quando c'erano altri con me in scena sentivo molto meno gli occhi di chi guardava: forse perché, essendo la direzione rivolta maggiormente agli altri personaggi, chi guardava restava un po' "sullo sfondo".

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Silma
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Inserito il - 23 aprile 2006 : 22:13:11  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ti do un altro trucco, fatto proprio per i monologhi che richiedono forza espressiva (persuasione, invettiva, pietà e consimili): scegli una persona tra quelle che hai davanti, il cui sguardo, o perché la conosci bene, o perché è sufficientemente distante da non poterne discernere l'espressione, non ti mette a disagio; a questo punto, fissa con decisione solo lei, solo i suoi occhi, i tuoi diventino dei pugnali nei suoi...il resto scompare magicamente e ti ritroverai, se riesci a concentrarti, con una forza duplicata nel gesto e nella voce [;)][:))]

umilmente vostra
Silma

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mallorysnow
Fuscello




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Inserito il - 27 aprile 2006 : 14:10:15  Mostra Profilo Invia a mallorysnow un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
peccato non poter scrivere di più su questo topic.. Silma ti sento molto molto vicina e sono d'accordo con te.. [:^][^]

mallory
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Merry
Entino




Pepperland


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Inserito il - 02 maggio 2006 : 19:34:21  Mostra Profilo Invia a Merry un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Sto guardando il DVD de "Il Mistero Buffo", nello spettacolo RAI del '77. Ho visto un pezzo di Franca Rame nei panni di Maria che si reca davanti alla croce del figlio... Lei sola interpretava Maria, le donne, un legionario, lo stesso Cristo ed un sogno di Maria che si sfogava con l'arcangelo Gabriele.
Bravissima, riusciva a far visualizzare tutto... da pelle d'oca. Non c'è scenario virtuale che tenga di fronte a cose così, ormai sono convinto.

*** *** ***

Ah, grazie Silma anche per quell'altra tecnica [:)]

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Silma
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Inserito il - 03 maggio 2006 : 14:04:14  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Mal [:))] Prima o dopo verrò a trovarti, voglio vedere "una seria" come recita [^]

Non conosco il pezzo da te citato Merry, ma se ho individuato bene la persona (non sono mai stata fisionomista, purtroppo) immagino quanto fosse meraviglioso. Riuscire, con quella che Stanislasky (prendetemi per buona la grafia...è un famoso regist/attore/drammaturgo russo, che ha elaborato il metodo recitativo che usa la compagnia di cui faccio parte; veramente è il nome d'arte, quello vero davvero non saprei come scriverlo [:-p]) chiamaa "fantasia creativa" a visualizzare quello che non c'è su questo piano della realtà ed a farlo vedere agli spettatori e, cosa ancora più difficile, a chi recita con noi, è un talento indispensabile per fare vero teatro.

Scrivendo in asincrona, mi è venuta alla mente una riflessione.
Abbiamo in altra sede parlato della sofferenza, del suo significato, se ne abbia uno eccetera ed ognuno ha espresso il proprio parere.
Qui, parlerei dell'utilità delle esperienze negative in teatro.
Fa sorridere? Si è ormai accettato a livello culturale che la poesia nasce per lo più dalla sofferenza, dalle lacrime, in ogni modo da una vita non facile né perfetta (basta gettare uno sguardo alle biografie dei grandi).
In teatro, possedere nella propria memoria ricordi oscuri, dolorosi, strazianti, è una risorsa inimmaginabile.
Lo avevo già scoperto in altra sede, lo riconfermo ora che sono alla conclusione del lavoro su Ofelia: poter attingere a memorie "negative", è una ricchezza.
Esistono tecniche per fingere i sentimenti, anche forti; se si seguono le linee di pensiero che non vogliono la finzione, non il verosimile ma il vero, allora i sentimenti vanno
a) provati, immedesimandosi totalmente, trasfigurandosi nel proprio personaggio
b) (ma le due cose possono svolgersi parallelamente) rivissuti.
Si chiama tecnicamente "rivivescenza", o "reminescenza" ad un livello precedente. Vivere di nuovo un sentimento, riportando alla memoria la situazione, gli atti, le parole, l'atmosfera di allora, lo stato d'animo.

Ma è una tecnica "pericolosa". Nel senso che richiede autocontrollo, l'attore non deve mai perdere la consapevolezza di se stesso. Rivivere un momento oscuro o doloroso della propria vita può dare luogo a reazioni, dal pianto a gesti inconsulti, che possono se incontrollate essere violente. E questo nella dinamica di uno spettacolo è distruttivo.

Rimane il fatto che sia, la sofferenza provata, una risorsa grande per un attore.
Una canzone di Renato Zero suona: "che ne sai dell'origine delle lacrime, se non hai mai pianto?"

è profondamente vero. Nella vita, dove per comprendere l'altrui sofferenza devi aver sofferto, per essere davvero un conforto devi averne avuto bisogno; dove nessuno conosce il sapore delle lacrime se non l'ha mai sentito sulle proprie labbra, se non ha mai avuto corone di spine a pungergli il cuore.
Ed è vero in questo mondo "altro", quello che la mia prima insegnate chiamava "il cerchio magico", il teatro. [:)]



umilmente vostra
Silma

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Merry
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Pepperland


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Inserito il - 03 maggio 2006 : 19:54:23  Mostra Profilo Invia a Merry un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Il pezzo è il "mistero teatrale" detto di "Maria sotto la croce", datato intorno al XIII secolo. Il testo, in italiano e dialetto della pianura padana, si trova assieme agli altri del "Mistero Buffo" di Fo, mentre Franca Rame è la compagna di Fo.

*** *** ***

La "reminescenza" o "rivivescenza" è stato uno dei momenti più interessanti, ciò che secondo il mio maestro rende il teatro non finzione ma verità, o "finzione vera" se vogliamo. Poi sono utili tutte le esperienze, no? Voglio dire: non potrei mai essere Jago se non conoscessi il rancore, ma nemmeno Romeo se non fossi mai stato innamorato.
Il lavoro più faticoso viene nel secondo passaggio, poiché si può anche "rivivere", ma noi siamo "in prestito" alle sofferenze (o goie) del personaggio. Riprendendo l'esempio di Jago: Jago non se ne farebbe nulla del rancore o della gelosia come li vivo io: sarebbero sentimenti negativi miei ma non del personaggio. Partiamo dai nostri per arrivare a quelli di Jago, Romeo, Ofelia eccetera...

L'esperienza, nella recitazione negativa, può spaventare un po'... Un esercizio propostoci è stato quello di decontestualizzare il testo recitandolo nei panni immaginari di un pazzo assassino che confessava: il pazzo è tale per chi lo guarda, ma nella sua testa è lucido e si giustifica.
E' un esercizio che mi è riuscito assai bene, non so se dire "purtroppo" o no... perché un po' mi sono fatto paura da solo, ed ora temo che, se andassi avanti in futuro, mi vengano offerti ruoli da cattivo alla Jack Nicholson [:))] [((]

Uno dei miei compagni è un giocatore di rugby enorme come un armadio, io sono uno scricciolo, eppure il maestro dice che, applicando la "maschera" di luce, con quello sguardo faccio più paura io a dispetto della corporatura! [((]

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Tradotto Da: Vincenzo Daniele & Luciano Boccellino- www.targatona.it | Distribuito Da: Massimo Farieri - www.superdeejay.net | Powered By: Snitz Forums 2000 Version 3.4.03